Siamo ormai avvolti a tal punto da impegni, appuntamenti, “cose da fare” che sempre più difficile è trovare il tempo per ritagliare nella mente volti, luoghi, sensazioni. Per questo è bello poter parlare di qualcuno che abbiamo conosciuto, anche se non c’è più: ci aiuta a restituire a noi stessi frammenti di umanità e sentirci meno superficiali. In molti a Trento hanno ricordato in queste settimane Vincenzo Loss. Il suo intenso impegno civile lo ha portato a contatto con tante persone e le sue battaglie per i diritti di chi è svantaggiato testimoniano la sua tempra morale. Chi ha conosciuto Ali, come tutti lo abbiamo sempre chiamato, infatti porta con sé il ricordo di un carattere forte, a volte ruvido, intriso comunque di una naturale e innata simpatia. La sua voce potente sembrava l’eco della sua personalità, il suo rapido parlare il segno del suo acceso interesse per le vicende della vita. E tra le tante esperienze che sempre lo hanno accompagnato e lo rendono caro a noi vi è la passione inestinguibile per le montagne e l’arrampicata, un vero marchio di famiglia: il fratello Bepi, accademico del CAAI e tra i fondatori del Gruppo Rocciatori, i figlie i nipoti che fin da bambini hanno masticato pane e chiodi. Ali apparteneva a quella generazione di alpinisti degli anni 50 e 60 usciti dalla guerra per i quali la montagna fu anche un motivo di affermazione sociale, quando a Trento davvero “arrampicare era il massimo”. Ho conosciuto Ali nel 978 come allievo del corso primaverile di roccia “Bepi Loss” organizzato dalla famosa scuola “Graffer”. Proprio lui fu il mio primo istruttore e infatti si trattò di un battesimo del fuoco: tra una battuta di spirito e qualche bonaria imprecazione mi ha insegnato i nodi fondamentali e i primi passi in parete. Sarebbe difficile poter contare quanti allievi sono passati tra le sue mani in decenni di attività come istruttore. Anche quando l’incidente aveva necessariamente ridotto le sue possibilità di movimento l’incrollabile entusiasmo di Ali lo ha portato a dare una mano fino all’ultimo: lo ricordiamo in molti al rifugio Agostini vicino al “sasso” a dispensare consigli e richiamare gli allievi. Alla sera, al rifugio, quando il cameratismo si fa più schietto e ognuno fa a gara a raccontare “quella volta in parete” il compito dell’Ali era accendere la miccia delle barzellette per rendere memorabili le nottate in allegria. Alcune sue battute in lingua “tricolore” erano ormai proverbiali alla Graffer. Le lezioni di pronto soccorso in montagna, frutto di esperienza sul campo in quanto membro per molti anni del soccorso alpino di Trento, hanno insegnato a innumerevoli alpinisti non solo ad affrontare situazioni di emergenza ma soprattutto a muoversi in montagna con umiltà e rispetto avendo sempre a cuore il valore della vita. Ma anche in quelle occasioni era tipico dell’Ali lasciarsi andare a ricordi ed aneddoti personali, coinvolgendo il pubblico con la sua inesauribile vitalità. E proprio in questo attaccamento alla vita unito alla capacità di sopportare con dignità le prove più dolorose senza richiudersi in se stessi credo stia il messaggio più bello che ci ha lasciato Vincenzo.
È stato un papà molto presente.
Una presenza che spesso metteva soggezione, due occhi scuri che ti trapanavano e lasciando poco spazio all’immaginazione, parlavano da soli, non servivano parole. Nonostante questo io sapevo che lui, per mia mamma , mio fratello e me, c’era e c’era sempre. Sapeva stringerti tra le sue braccia forti e possenti con grande affetto, era sempre pronto ad aiutarti sia che si trattasse di un tema di italiano che di un passaggio su roccia o di una discesa difficile. Non ci avrebbe mai lasciati soli. Lui c’era. Sempre. Proprio per questo ho un solo grande rammarico: quello, per troppa soggezione, di aver parlato con lui sempre troppo poco.
Nato nel 1926 , primo di sette fratelli. E’ nato e vissuto nel quartiere povero del Suffragio. La montagna sarà, come per molti alpinisti degli anni ’50, un motivo di affermazione sociale.
Sarà la montagna che ha amato con tutte le sue forze a forgiare il suo carattere. Un carattere duro, a tratti spigoloso ma sempre sincero, schietto e diretto.
Quella montagna che tanto gli ha dato e tanto ha amato sarà la stessa che gli procurerà i dolori più grandi e lo metterà a dura prova: nel 1971 perde sulle Alpi Peruviane il fratello Bepi a cui era molto legato e poi nel 1981, in un incidente in montagna, perde la gamba sinistra. Incidente che di fatto gli impedirà di continuare la sua attività alpinistica.
Nonostante ciò non l’ha mai abbandonata dedicandosi prevalentemente all’insegnamento teorico mettendo a disposizione la sua esperienza acquisita in anni di attività alpinistica e tornando, a prezzo di numerosi sforzi, a sciare ed arrampicare